Scheda Film
Titolo originale: Amsal
(Traduzione letterale: Assassinio)
Regia: Choi Dong-hoon
Sceneggiatura: Choi Dong-hoon, Lee Ki-cheol
Montaggio: Shin Min-kyung
Fotografia: Kim Woo-hyung
Scenografie: Ryu Seong-hie
Musiche: Jang Young-gyu, Dalparan
Corea, 2015 – Azione – Durata: 140′
Cast: Jeon Do-yeon, Lee Byung-hun, Kim Go-eun, Lee Jun-ho, Kim Tae-woo, Lee Kyoung-young, Bae Soo-bin, Abujamous Ahmad, Moon Sung-geun

Dopo il successo di The Thieves (2012), Choi Dong-hoon torna a sbancare il botteghino con Assassination, il quale si piazza d’imperio tra i dieci film coreani più visti di tutti i tempi. Rinunciando alla formula dell'”heist movie”, che Choi predilige sin dai tempi di The Big Swindle (2004), questa volta il regista si cimenta con un thriller spionistico ambientato all’epoca della colonizzazione giapponese.

Gli strascichi del periodo coloniale non sono infatti del tutto esauriti, basti pensare alla questione ancora aperta delle “comfort women”, e i 35 anni della dominazione nipponica sono tutt’ora commemorati nella Indipendence Hall, vicino Seoul, e nella prigione-museo di Seodaemun. Essendo dunque il Giappone il nemico per antonomasia, la sceneggiatura di Choi e Lee Ki-cheol infiamma l’orgoglio nazionalista dello spettatore coreano, sentimento che diviene un propellente esplosivo, che ha contribuito a lanciare il film in vetta alle classifiche.

Dopo le proteste del marzo 1919, che causarono 7000 vittime civili, l’amministrazione giapponese corse ai ripari inaugurando una politica di relativa tolleranza, destinata a inasprirsi nuovamente nel corso degli anni ’30, decennio scelto da Choi per ambientare Assassination, durante il quale il militarismo raggiunse il suo apice malgrado la tanto decantata “sfera di co-prosperità”. Per conferire alla vicenda maggiore credibilità, gli sceneggiatori hanno avuto inoltre l’intelligenza di inserire due personaggi storici: Kim Koo, presidente del Governo Provvisorio della Repubblica di Corea, appoggiato dal Guomindang, e Kim Won-bong, capo del braccio armato del movimento, l’Armata Coreana di Liberazione.

Invocare maggiore spessore psicologico dai personaggi di un film di Choi Dong-hoon, come hanno fatto diffusamente i recensori americani, sarebbe come pretendere che Hong Sang-soo la smetta di girare sempre il medesimo film, ovvero una blasfema assurdità. Se il moto perpetuo è impossibile nella fisica, non lo è invece nel cinema di Choi, dove è proprio l’eterea levità di psicologie e motivazioni, sgravate da didascaliche zavorre, a consentire l’incessante movimento. Il capitano Yem Seok-jin, Chu Sang-ok (soprannominato Big Gun), l’esperto di esplosivi Hwang Deok-sam, l’infallibile cecchino Ahn Ok-yun e il killer a pagamento Hawaii Pistol sono semplici vettori destinati a intersecarsi seguendo traiettorie ellittiche, secondo percorsi che meglio sarebbero decifrati da un esperto di balistica. Sarebbe forse il caso di considerare Assassination come un musical, nel quale spari e deflagrazioni hanno il compito di sostituire degnamente la partitura musicale, lasciando ad altri registi l’onere di una rappresentazione più aderente alla realtà storica. Niente “bullet-ballet” alla John Woo vecchia maniera, però, bensì l’aspirazione a un’epica un po’ rétro, che mescola il cinema di Hong Kong più spiritato con lo spaghetti-western alla Sergio Leone.

Dopo un prologo ambientato nel 1911, che getta i semi che giungeranno a piena fioritura solo vent’anni dopo, l’azione si sposta nell’anno 1933, quando il Capitano Yem, il quale agisce per conto del Governo Provvisorio, incarica tre agenti appositamente reclutati di assassinare il Governatore Kawaguchi Mamoru e il collaborazionista  Kang In-gook. Come ogni “spy-story” che si rispetti, Assassination nasce e prospera sotto la costellazione dei Gemelli: doppi e tripli giochi, repentini capovolgimenti di fronte e persino due sorelle separate in giovane età, le due Matsuko, il cui incontro fortuito condurrà a un colpo di scena fondamentale ai fini della risoluzione della vicenda.

Trattandosi di Choi Dong-hoon, il cuore pulsante del film non sono però i bizantini intrighi di sceneggiatura quanto le scene d’azione, minuziosamente elaborate come d’abitudine. E se la scena dell’agguato al distributore di benzina, coreografata da Yu Sang-seop e No Nam-seok, rasenta la perfezione, il vero tour-de-force del regista è la sensazionale sequenza del matrimonio, dove volano bombe e proiettili invece di bouquet floreali. La coda ambientata nel dopoguerra, oltre a offrire a Lee Jeong-jae l’opportunità di esibirsi in un pezzo di bravura, ha invece il compito di ristabilire il giusto equilibrio tra vittime e carnefici, saldando i conti rimasti in sospeso.

L’ex Sassy Girl Gianna Jun, gia ladra sexy in The Thieves, interpreta un personaggio volutamente dimesso, il cecchino Ahn Ok-yun, andando contro la propria immagine “glamour”, mentre il versatile Ha Jung-woo (The Yellow Sea, The Terror Live) ha ben poco da fare, a parte sostenere i siparietti comici affidati al solito Oh Dal-soo, che questa volta sfoggia un paio di improbabili baffi da rivoluzionario messicano.

La sontuosa ricostruzione scenografica di Ryu Seong-hie (set a Shanghai e Seoul) e la fotografia tra l’ocra e il seppiato di Kim Woo-hyung, completano un film talmente old-fashioned da apparire modernissimo, giustamente premiato all’ultima edizione dei Blue Dragon Film Awards.

RARISSIMO perché… troppo ostico e forse poco decifrabile per noi.

Note: il film NON è MAI uscito in sala da noi.

Voto: 7

Nicola Picchi