«La mente è come un paracadute: funziona solo se si apre». C’è chi dice Frank Zappa, c’è chi dice James Dewar e c’è chi dice Albert Einstein: sull’autore non esistono certezze, ma sul valore dell’aforisma nessuno può questionare. Per fare in modo che la mente funzioni è necessario che funzioni la nostra capacità di osservare le cose. La nostra capacità di utilizzare lo sguardo, che della mente è il detonatore. Se gli occhi vedono, però, sono anche capaci di viaggiare, di spaziare, di andare oltre a ciò che stanno effettivamente vedendo? Al grande potere dello sguardo il graphic designer Roberto Rosolin ha dedicato l’immagine ufficiale del Far East Film Festival 27: un intenso ritratto femminile che ci porta altrove, al di là dei limiti e dei muri, lungo le mille possibili traiettorie della fantasia e della libertà.
La ventisettesima edizione del FEFF, che dal 24 aprile al 2 maggio animerà il Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” e gli spazi del Visionario, è pronta a restituire nuovi sguardi sul cinema asiatico. Nuove traiettorie della fantasia e della libertà che, per nove giorni, trasformeranno Udine nell’epicentro orientale d’Europa. Nato il 10 aprile 1999 e poi cresciuto fino a diventare – citando Variety – «uno dei 50 appuntamenti mondiali da non perdere», il Far East Film Festival non ha mai smesso di essere la casa di autentiche leggende (come Jackie Chan e Joe Hisaishi), registi cult (come Johhnie To, Takashi Miike, Takeshi Kitano, Zhang Yimou), dive e divi, key player.

Bona (Lino Brocka). La giovane Bona (la diva Nora Aunor) è una studentessa borghese maltrattata in famiglia che diventa ossessionata con Gardo (Philip Salvador), un attorucolo di film d’azione, al punto da abbandonare la scuola ed andare a vivere con lui nella più grande baraccopoli di Manila. Ma lì la ragazza continua a subire altri abusi… Dal 1980 un capolavoro perduto del neorealismo filippino, restituitoci in un restauro superlativo, diretto dal rinomato regista Lino Brocka, il più importante autore filippino. scomparso in un incidente stradale nel 1991. La folle odissea di Bona è una metafora del pericolo delle idolatrie cieche: non a caso il film si apre con il consueto pandemonio annuale della Festa del Nazzareno Nero a Manila. I due attori protagonisti erano all’apice dello star system nazionale e si sono letteralmente spogliati della loro aura per costruire due personaggi umanamente piccoli e non sempre gradevoli. Gigantesco. Fuori concorso/Restored classics. Voto: 8

Chimeegüi khotyn jolooch/Silent city driver/Silenzioso autista di città (Janchivdorj Sengedorj) Il solitario ed enigmatico Myagmar vive isolato dopo aver sopportato 14 anni di carcere. Segnato fisicamente e emotivamente, guida un carro funebre e i suoi unici compagni sono i cani randagi che ha salvato nel tempo. Si apre un po’ al mondo con un giovane monaco buddista e con un tormentato amore. Fino a prendere una decisione radicale…  Un noir visionario, fiammeggiante, dissonante, dal regista del dissacrantew Khudaldagch okhin/The sales girl/La giovane commessa, che avevamo già visto al festival nel 2023. In un mondo e in una città – Ulan Bator – dove il silenzio di Dio è assordante, le peregrinazioni di Myagmar tirano cazzotti alla nostra anima, in un realismo che si concede momenti di magia, traghettandoci verso un finale bellissimo e spiazzante. Concorso. Voto: 8

Shake, rattle & roll (Ishmael Bernal, Emmanuel H. Borlaza e Peque Gallaga). Dal 1984 un horror molto noto in patria, migliorato, ma non del tutto restaurato – e un po’ si vede! – uno dei pilastri del genere nelle Filippine, importante per aver dato origine ad una nuova ondata di pellicole. Tre capitoli: Baso (bicchiere), che intreccia in modo mirabile lo zombie movie, lo spiritismo e la dominazione spagnola del Paese; Pridyider (frigorifero), che anticipa lo Z-movie The refrigerator di Nicholas Jacobs del 1991 e che verrà rifatto nel 2012 col titolo Fridge, su un frigorifero che mangia gli esseri umani; infine il folkloristico Manananggal, il migliore, su uno spirito locale, citato persino nei documenti dell’epoca coloniale spagnola, scritti da esploratori e frati che riportavano le credenze degli indigeni del tempo, che verrà fronteggiato dal ragazzino che l’ha risvegliato, con l’aiuto dei fratellini e della nonna, anticipando di poco I goonies, l’episodio La promessa degli amanti de I delitti del gatto nero/Tales from the Darkside: The movie e soprattutto Stranger things. La pochezza di mezzi – evidente in troppi effetti notte a dir poco forzati e in una citazione musicale di “Thriller” di Michael Jackson sotto la soglia del minutaggio per non pagare  i diritti d’autore – cattura lo spettatore e dona spessore ad un film estremamente divertente e affascinante, coi suoi sprazzi di critica storico-sociale, presenti in tutti gli episodi, e con effetti speciali non sempre maldestri. La visione è quasi ipnotica. Piccolo capolavoro. Fuori concorso/Retrospctive. Voto: 8

The snow woman/La donna della neve (Tanaka Tokuzo). Lo scultore Shigetomo e il figlio Yosaku rimangono bloccati in una capanna a causa di una tempesta di neve. Qui vengono assaliti dalla terribile Donna delle Nevi. Questa, invaghitasi di Yosaku, decide di risparmiarlo a patto che non racconti mai quello che ha visto. Anni dopo, una misteriosa giovane donna conquista il cuore di Yosaku. Tutto sembra andare bene, ma uno sfortunato incidente metterà in discussione il futuro… Incantevole pellicola proveniente dal Giappone del 1968, grazie ad un recente restauro, che mette in scena una leggendaria figura femminile, raccontata nel 1904 dallo scrittore americano Lafcadio Hearn. Come l’episodio Manananggal del filippino Shake, rattle & roll, anticipa, ancor più sensibilmente e di altri 16 anni, l’episodio La promessa degli amanti de I delitti del gatto nero/Tales from the Darkside: The movie del 1990, preferendo però nel finale il pathos all’horror. Con pochi, semplici, ma efficaci effetti speciali e con la splendida interpretazione della protagonista Fujimura Shiho, riesce a raccontare una vicenda a tratti toccante e poetica, tra mito, arte e religione. Un autentico capolavoro. Fuori concorso/Retrospective. Voto: 8

Chinatown cha-cha (Luka Yuanyuan Yang). L’ex ballerina di nightclub Coby Yee decide di tornare sul palco entrando a far parte della compagnia di danza senior Grant Avenue Follies. Nel periodo di massimo splendore, le ballerine erano tra le protagoniste dell’età dell’oro della Chinatown di San Francisco. Giunte a un’età avanzata, si sono riunite per intraprendere un’ultima tournée che tocca le comunità cinesi un tempo isolate negli Stati Uniti, a Cuba e in Cina. Divertente e toccante documentario su una splendida ultra-novantenne per la quale il tempo sembra non essere trascorso, nonostante gli acciacchi e un  corpo che non è più quello di una volta. Insieme al suo compagno di una vita, Stephen King (sic!), Coby Yee ci porta con sé nella propria storia e in quella dell’evoluzione dei costumi. Il documentario si chiude con un’inattesa nota che lascia l’amaro in bocca. Fallibile. Fuori concorso/Documentary. Voto: 7 e ½

GATAO: Like father, like son/GATAO: Tale padre, tale figlio (Yao Ungh-i e Ray Jiang). L’ambizioso Michael, figlio del boss Ko, spaccia droga nel territorio delle altre gang, in una metropoli senza nome nel nord di Taiwan, protetto dal padre, fin troppo indulgente. Questa è la miccia che fa scoppiare una guerra tra gang. In questa ragnatela di tensione restano invischiati anche il giovane Meng, appena uscito dal carcere, e i suoi fratelli, aspiranti gangster, che Michael usa per i suoi traffici. Nere nubi all’orizzonte… Quarto capitolo di una saga taiwanese iniziata nel 2015, in realtà una sorta di prequel stand-alone fruibile, anche se con meno entusiasmo, anche dai neofiti. Film tesissimo e molto divertente, con attori davvero in parte, con una regia curata che cerca di regalare umanità anche a criminali senza scrupoli e con una scrittura che relega i giovani a pedine inconsapevoli dei grandi vecchi gangster, spietati burattinai sullo sfondo. Una saga lungi dal concludersi… Epico. Concorso. Voto: 7  e ½

Guddorakku/Good luck/Buona fortuna (Adachi Shin). Taro (Hiroki Sano), un documentarista indipendente, oscilla nella vita alla ricerca di una destinazione esistenziale e artistica, mentre la sua ragazza pensa a tutto ciò che è pratico. Ad un festival a Beppu, dove è stato invitato, dopo la proiezione di un suo film incontra la solare attrice Miki (Hana Amano), anche lei in piena ricerca esistenziale… Un incontro che ricorda Before Sunrise di Richard Linklater, anche citato, narrato in leggerezza e scioltezza, non senza una massiccia dose di ironia, con la macchina da presa che danza costantemente intorno a loro, in numerosi piani-sequenza. Due anime vaganti che non si cercano, si incontrano e che forse andranno avanti per conto loro. (Meta)Cinematografico.Concorso. Voto: 7 e ½

Hear me: Our summer (Jo Seon-ho). Yong-jun è un neolaureato sulla ventina che non ha ancora capito bene cosa fare della sua vita, ma si tiene occupato facendo consegne per la piccola attività di pasti confezionati dei suoi genitori. Un giorno, mentre consegna dei lunchbox al centro sportivo locale, vede un gruppo di atleti sordi che si stanno allenando in piscina. Lì incontra Yeo-reum, una ragazza che sta aiutando la sorellina Ga-eul ad allenarsi. Yong-jun rimane affascinato da Yeo-reum fin dal primo sguardo e, conoscendo bene la lingua dei segni, inizia ad approcciare la ragazza… Delicata e fresca commedia coreana, remake di un film taiwanese del 2010, dal quale non si discosta granché. L’essere recitato prevalentemente nella lingua dei segni, fa della pellicola un film… muto! Arricchito da una colonna sonora che spesso riecheggia le pellicole senza sonoro di Charlie Chaplin. Qualcosa non quadra alla fine – perché Yong-jun, ad esempio, conosce la lingua dei segni?! – ma il ritmo sostenuto ce lo fa dimenticare, fino ad un colpo di scena, probabilmente non indispensabile, ma riuscito. Romanticissimo. Concorso. Voto: 7 e ½

The great yokai war (Miike Takashi). Libero remake del film del 1968 sugli yokai, visto in questa edizione del festival, ma anche rielaborazione del manga “GeGeGe no Kitaro” di Mizuki Shigeru, questa pellicola del 2005 del maestro Miike, forse proprio per la contaminazione fumettistica, sembra anticipare di qualche anno la sua trasposizione – in parte alimentare – di Yattaman del 2009. La storia dello yokai malvagio Lord Kato, che insieme alla bellissima e micidiale Agi, innamorata di lui, tenta in ogni modo di distruggere Tokyo, è inframmezzata anche da citazioni del cinema occidentale e soprattutto di matrice spieberghiana, da Gremlins a I predatori dell’arca perduta, passando per Incontri ravvicinati del terzo tipo, nonché un affettuoso rimando a Ray Harryhausen nell’animazione volutamente non troppo fluida degli yokai meccaninci. E se pure alcuni effetti speciali sembrano vintage, questo conferisce al film un fascino particolare, elevandolo al di sopra di una semplice pellicola per adolescenti. Tutta la carica eversiva dell’autore riesce ad incanalarsi in un’opera mainstream arricchendola. Effervescente. Fuori concorso/Retrospective. Voto: 7 e ½

Làm Giàu Với Ma/Betting with ghost (NguyenNhat Trung). Il giovane Lanh, dopo essere stato colpito da un fulmine, inizia a vedere il fantasma di una giovane donna. Ne approfitterà per farsi dare una mano nelle scommesse clandestine su galli da combattimento, per salvare il padre dai creditori, in cambio dell’aiuto alla donna nella ricerca della figlia perduta alla nascita… Divertente film d’azione e mistero, costellato da numerosi colpi di scena fino alla fine, alcuni anche troppo esasperati. Commedia e soprannaturale si alternano, non sempre in maniera equilibrata, ma nel complesso il film si lascia guardare e l’intrattenimento non manca. Vincente l’idea di accostare i fantasmi, la malattia grave e l’aldilà, questa gestita in modo molto più efficace. Mistico. Concorso. Voto: 7

Sang krasue 2/Inhuman kiss: The last breathe (Paphangkorn Punchantarak). Seguito del film del 2019, Sang krasue/Inhuman kiss, si riallaccia alle vicende di Sai e Noi, che cercavano di nascondere la vera essenza di lei: una krasue, uno dei mostri più affascinanti del folklore tailandese, una testa fluttuante che si stacca dal corpo portandosi dietro gli organi a penzolone. Stavolta Noi deve proteggere la figlia, Sao, con l’aiuto di un religioso, ma contro nemici sempre più spietati, compresi un gruppo di cacciatori stranieri e il krahang, un’altra figura mitologica mostruosa che darà loro filo da torcere… Qui si tenta ancora di più di fondere l’horror con la love-story e addirittura con la fantascienza. Il risultato è che i protagonisti appaiano, in senso positivo, come una sorta di mutanti, di “X-Men”: i due innamorati, Sao, la krasue, e il suo innamorato, Klao, un albino dai misteriosi poteri, ci affascinano come due supereroi. Aggiungendo degli effetti speciali di pregevolissima fattura, che donano un nuovo look alle creature mostruose, il risultato è un film avvincente che non ha nulla da invidiare ai corrispettivi occidentali. Non andate via prima della fine dei titoli di coda! L’avventura continua… Supereroistico. Fuori concorso/Retrospective. Voto: 7

See you tomorrow (Michimoto Saki). Con una fotocamera reflex appesa al collo, la studentessa di fotografia Nao va in giro cercando soggetti di vita vissuta da ritrarre. Intorno a lei altri studenti e amici, la simpatica Sayo, il chiacchierone Tada e il tormentato Yamada. Ma nessuno sembra avere la stoffa e la determinazione di Nao, che sarà l’unica a farcela. Dopo il diploma, seguiranno le proprie strade riunendosi quattro anni dopo e scoprendo che Yamada è scomparso… Esordio nel lungometraggio della regista di Osaka Michimoto Saki, il film affronta la tematica molto comune, in Giappone, degli amici che si separano ed è ambientato in un’accademia d’arte, luogo molto noto alla cineasta. La pellicola segue i suoi protagonisti, giocando molto – non a caso – con le immagini. Bellissimo ed emblematico il finale. Fotoromantico? Concorso. Voto: 7

Warui natsu/A bad summer/Una brutta estate (Hideo Jôjô). In una brutta e calda estate, Mamoru Sasaki (Takumi Kitamura), un candido impiegato addetto al controllo dei sussidi, spinto dalla sua responsabile a combattere fortemente le ingiustizie, si innamorerà di una tormentata assistita prendendosi a cuore la sua figlioletta. Il giovane si vedrà travolto in un gorgo di colleghi corrotti, di yakuza senza scrupoli nel quale anche il suo amore rischierà di soccombere. Come se non bastasse, un forte temporale estivo incombe sulla città… Il prolifico regista giapponese ci conduce in una tesa spirale di violenza dove nessuno è innocente o è realmente quel che sembra. Un inferno in cui l’unica veramente pura è la piccola Yuko, perché ha il dono della purezza infantile. Anche se il finale purificatore – l’acqua lava tutto – tocca un po’ troppo le corde del melodramma, in un crescendo esagerato e quasi inverosimile, portando tutti i personaggi sulla scena (del crimine), riesce a tenerci incollati allo schermo fino in fondo. Nelle ultime scene, usciti rotti dalle vicende vissute, si leccano tutti le ferite: chi aveva qualcosa, ha perso tutto; chi non aveva nulla, ha guadagnato qualcosa. Melodrammatico. Concorso. Voto: 7

Cheonnyeon ho/A thousand year fox/Una volpe di mille anni (Shin Sang-ok). Nel IX secolo, la regina Jinseong seduce un generale e ne bandisce la moglie dalla capitale. Durante il viaggio la moglie Yeohwa è attaccata dai banditi e, per sfuggirli si getta in un lago. Il suo disperato desiderio di vendetta attira uno spirito volpe imprigionato nelle acque e Yeohwa la accetta nel suo cuore, con il risultato di riemergere miracolosamente viva, ma trasformata in una creatura metà essere umano e metà mostro, cui tutti daranno la caccia. Il film, girato nel 1969, appare un po’ datato, benché ottimamente restaurato nel 2025, e ricorda curiosamente diversi peplum con derive fantastiche dello stesso decennio. da Ercole al centro della Terra di Mario Bava a Ercole alla conquista di Atlantide di Vittorio Cottafavi, passando per Maciste all’Inferno di Riccardo Freda, nonché le pellicole della Hammer delle stesse due decadi e di quelle immediatamente precedenti. Per il resto l’opera è melodrammatica, melensa, rozza (pure qui gli esterni notte grossolanamente realizzati abbondano!), ma anche a tratti… irresistibile! Feulleiton. Fuori concorso/Retrospective. Voto: 6 e ½

Deoreoun done sondaeji mara/Dirty money/Denaro sporco (Kim Min-soo). I detective Myung-deuk (Jung Woo) e Dong-hyuk (Kim Dae-myung) pensano di avere il piano perfetto per cambiare le proprie vite quando ricevono una soffiata su un’operazione di riciclaggio di denaro da parte di un’organizzazione criminale cinese. Durante il colpo però si verifica un imprevisto e i due poliziotti corrotti, man mano che cercano di coprire ciò che hanno fatto, si ritrovano sempre più nei guai… Intrigante poliziesco che ha appreso la lezione di John Woo e di Infernal affairs, ma che non riesce a trovare fino in fondo una sua identità, pur intrattenendo lo spettatore. Derivativo. Competition. Voto: 6 e ½

Gumiho/The fox with nine tails/La volpe a nove code (Park Heonsu). A Seul un giovane tassista incontra Hara, una ragazza bellissima di cui si innamora. Ma un uomo misterioso lo avverte che la donna è molto più pericolosa di quanto sembri. Hara infatti è la reincarnazione dell’ultima gumiho (volpe a nove code) rimasta al mondo. E l’uomo misterioso è il Tristo Mietitore n. 69 mandato sulla terra su decreto ufficiale firmato dal re degli inferi Yeomra che ha ordinato di catturare la gumiho… Film davvero curioso, sorta di remake aggiornato di Cheonnyeon ho/A thousand year fox/Una volpe di mille anni, il primo ad utilizzare effetti speciali digitali in patria (siamo nel 1994) per un totale di cinque minuti, che va a scomodare persino gli inferi, con una gustosa cornice iniziale, senza trascurare l’uso di un po’ di ironia, ma che poi si perde parecchio per strada, tra fantasy e comicità più stonata che involontaria. Un vero hellzapoppin’ sgangherato! Fuori concorso/Retrospective. Voto: 6 e ½

Suzzanna: The queen of black magic (David Gregory). Vita, morte e miracoli di Suzanna Martha Frederika van Osch, la regina dell’horror indonesiano, idolatrata dai suoi spettatori in patria e un perfetta sconosciuta altrove? Attraverso interviste a personaggi a lei legati siano essi famigliari o semplici fan, viene ricostruita in parte la storia del cinema nazionale, con l’importante fenomeno dei cinema ambulanti, cui Suzzanna diede copiosa linfa e che hanno da sempre costituito la principale fonte di entertainment per le classi meno ambienti e le periferie del Paese. Un personaggio unico nel (suo) genere, raccontato dando spazio a più voci, spesso discordanti sul tema – come la figlia e l’ultimo compagno – toccando anche argomenti scomodi – come la morte dell’attrice – pur senza prendere posizione su di essi. Ha il merito di farci conoscere una personalità di fatto sconosciuta in occidente, presentandoci il suo bizzarro mondo. Weird! Fuori concorso/Documentaries. Voto: 6 e ½

The great yokai war: Guardians (Miike Takashi). Sedici anni dopo il film precedente, Miike ritorna a dire la sua sugli yokai, ma in tono minore, con meno veemenza e una verve – diremmo – più annacquata. Una versione più edulcorata del film precedente, probabilmente per far più presa su un pubblico giovanile. Questa volta a difendere il mondo ci sono due fratellini e l’attenzione sembra spostarsi più sui kaijū che sugli yokai. L’autore, qui meno ispirato, infila comunque qualche trovata, come la svolta musical, narrativamente importante, nel finale e porta comunque a casa il risultato, anche se il divertimento e la qualità della pellicola sono nettamente al di sotto dell’opera precedente. Revivalistico. Fuori concorso/Retrospective. Voto: 6 e ½

The land of morning calm/La terra della calma mattutina (Park Ri-woong). Il pescatore Yong-su (Park Jong-hwan) vuole fuggire da un futuro senza speranza, inscenando la propria scomparsa nella speranza che il denaro dell’assicurazione possa garantire una vita migliore alla moglie vietnamita e alla madre anziana. Il suo capitano, Yeong-guk (Yoon Joo-sang), lo aiuta a malincuore denunciandone la scomparsa. Ma la famiglia di Yong-su, ignara del suo piano, è devastata e non sembra riuscire a guardare oltre l’orizzonte… Dopo The Girl on a Bulldozer (2022), il regista Park Ri-woong, qui al suo secondo film, firma un altro intenso dramma sociale, di forte impronta (neo)realista, che però tende a sfociare troppo spesso nel melodramma, con personaggi ben descritti, ma scarsamente empatici. Una regia asciutta, come le interpretazioni degli attori, ma che non sempre convince. Non (r)assicurante. Concorso. Voto: 6 e ½

Yôkai daisensô/Yokay monsters: Spook warfare/Mostri Yokai: La guerra degli spettri (Kuroda Yoshiyuki). Due cercatori di tesori risvegliano Daimon, un antico mostro babilonese. Il mostro vola in Giappone dove uccide un samurai e ne beve il sangue assumendone le sembianze. Un Kappa (uno yokai che abita in laghi, fiumi e stagni) si rende conto che il samurai è posseduto dal demone e avverte gli altri yokai del pericolo. Servendosi dei loro poteri speciali, le creature affrontano il mostro vampiresco e i suoi seguaci… Divertente fantasy giapponese, giunto dal 1968, molto naÏf, che riprende la tradizione degli yōkai nazionali, quegli spiriti che popolano il folclore del Sol Levante. La messinscena è davvero risibile, con mostri davvero buffi e veramente di cartapesta, ma forse il fascino del film è racchiuso proprio in quello. Datato. Fuori concorso/Retrospective. Voto: 6 e ½

Pontianak Harum Sundal Malam/Pontianak: Scent of the tuber rose (Shuhaimi Baba). Siamo nel 1949 e Meriam, una famosa danzatrice, viene insignita del titolo di Primadonna (in italiano), ricevendo un diadema in premio del suo contributo all’arte. Purtroppo fra i suoi ammiratori c’è il ricco mercante Marsani (Azri Iskander), una arrogante canaglia, divorato dalla passione per lei. Intanto una cupa scena presenta, attraverso il racconto dei contadini di un villaggio, la Pontianak del mito, una creatura mostruosa che vola di albero in albero con una stridula risata, anche se la si può ri-trasformare in una donna normale piantandole un chiodo nel retro del collo. Al tempo presente, Marsani, mantenuto relativamente giovane da cure “scientifiche”,  scivola verso la pazzia vivendo nel senso di colpa e nel terrore della pontianak. Crede che Meriam sia ritornata per punirlo, nel corpo della giovane Maria, che di Meriam è sosia – e che in effetti ha un marchio sul retro del collo. Fra incubi e infestazioni spettrali, Meriam e Maria si confondono… L’apparizione della prima annuncia alla seconda, con suo terrore, che vuole fondersi con lei nel suo corpo… Dalla Malesia del 2004 arriva questo film molto suggestivo sulla carta, ma in realtà realizzato peggio di una telenovela, tra il budget speso e la recitazione degli attori. Verosimilmente lo standard malese viaggia su questi livelli, non eccelsi, ma il tentativo di patinare il tutto lo rende poco sincero, diversamente dalle opere filippine degli anni ottanta viste in questo festival. Mito-illogico. Fuori concorso/Retrospective. Voto: 6

The scary house/La casa spaventosa (Watanabe Hirobumi). Il bizzarro autore dell’instant cult Techno Brothers, si dirige interpretando un regista assunto da una casa di produzione per realizzare un documentario. Il suo compito è quello di trascorrere una settimana in una casa infestata. Ce la farà?!:.. Film a zero budget (i produttori sono “la famiglia Watanabe”) che parte in maniera ironica per poi credere fin troppo a quel che fa e mostra. I brividi sono scarsi, l’umorismo si affievolisce, il divertimento è zero. La pellicola raggiunge a stento la sufficienza solo per un lieve citazionismo: la colonna sonora sui titoli di testa che scimmiotta efficacemente i Goblin di Profondo rosso e una palla bianca più volte mostrata che al cinefilo più incallito non può non ricordare Operazione paura di Mario Bava. Tutto qua? Fuori concorso/Special screenings. Voto: 6

Walking in the movies (Kim Lyang). Documentario su Kim Dong-ho, fondatore nel1996  del Busan International Film Festival (BIFF), una figura fondamentale per il cinema coreano. Da funzionario pubblico ad appassionato sostenitore del cinema, fino a regista in tarda età con il cortometraggio Jury. Il ritratto di una figura molto interessante, che ha lanciato il cinema coreano sui mercati (e i festival) internazionali, ma trattato in maniera troppo agiografica, chiudendo pure con il ricordo di due fondamentali collaboratori scomparsi, infilato alla fine quasi in maniera iettaroria. Se fosse stato più corto (dura un’ora e mezza!) sarebbe stato un ottimo servizio televisivo. Sufficienza solo per l’enormità del personaggio di cui racconta. Come parlare di cinema e sprecare un’occasione. Fuori concorso/Documentari. Voto: 6

«Il tempo in cui viviamo è davvero folle, folle e caotico, ma per nostra fortuna esistono ancora i film e possiamo ancora decidere di andare a chiuderci dentro un cinema. Ridendo, piangendo, sognando. Per due ore, almeno per due ore, nessuno deve impedirci di pensare che il mondo sia ancora un posto bellissimo!». Le parole della mitica superstar taiwanese Sylvia Chang, incoronata sul palco del Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” con il Gelso d’Oro alla Carriera, descrivono perfettamente lo spirito del Far East Film Festival e l’energia dell’edizione appena conclusa. La numero 27. Un’edizione che ha puntato lo sguardo sulle urgenze narrative dell’Asia contemporanea, spaziando tra i generi e costruendo una line-up particolarmente attenta ai temi sociali.
Il FEFF 27 ha portato a Udine 77 film (12 anteprime mondiali, 22 internazionali, 23 europee e 19 italiane da 12 paesi), 220 ospiti d’onore (tra cui, appunto, Sylvia Chang e il leggendario Tsui Hark, premiati entrambi con il Gelso d’Oro alla Carriera) e 65 mila spettatori. «Mai come quest’anno – sottolineano Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche, fondatori del FEFF – abbiamo sentito l’affettuosa vicinanza degli udinesi e l’orgoglio della città per il festival. Sommando le presenze in sala, tra il Teatro Nuovo e il Visionario, possiamo calcolare matematicamente 65 mila spettatori, sì, ma contare tutte le persone effettivamente colpite dal “mood asiatico” è impossibile!». Proprio i voti degli spettatori, giudici supremi dei titoli in concorso fin dal 1999, hanno determinato anche l’attesissimo podio 2025.
Il pubblico ha incoronato con il Gelso d’Oro il campione d’incassi Her Story della regista Yihui Shao, autentico fenomeno di costume in patria, premiando con il Gelso d’Argento l’hongkonghese The Last Dance – Extended Version di Anselm Chan e con il Gelso di Cristallo Like a Rolling Stone della regista Yin Lichuan. Al primo e al secondo posto, dunque, due dei titoli più emblematici dell’intera selezione: provengono entrambi dalla Cina continentale, sviluppano entrambi il tema della gender equality e portano entrambi una firma femminile.
Se anche gli accreditati Black Dragon hanno scelto The Last Dance – Extended Version di Anselm Chan, i tre giurati della sezione opere prime (Kim Yutani, Sakoda Shinji e la celebrity giapponese Megumi) hanno destinato il Gelso Bianco a Diamonds in the Sand della regista filippina Janus Victoria e una menzione speciale alla love story animata sudcoreana The Square di Kim Bo-sol. Il Gelso per la Miglior Sceneggiatura (assegnato dai tre giurati Massimo Gaudioso, Silvia D’Amico e Francesco Munzi, in forza al Premio internazionale “Sergio Amidei” di Gorizia) lo ha invece conquistato il thriller psicologico giapponese Welcome to the Village di Jojo Hideo.
Più di 3000 sono stati gli ospiti che il FEFF 27 ha dislocato nelle varie strutture ricettive della città, mentre il numero degli accrediti ha raggiunto la quota record di 1993. Appassionati, giornalisti, esperti, addetti ai lavori, semplici “curiosi” e 130 studenti universitari di cinema (Italia, Regno Unito, Austria, Slovacchia, Ungheria, Singapore), a dimostrazione di quanto sia alta la soglia di attenzione da parte dei fareastiani più giovani. Oltre 200, poi, i professionisti arrivati da tutta Europa per le sessioni industry di Focus Asia (il progetto Filippino What’s Left of Us ha vinto il TAICCA/Focus Asia Co-Production Award) e circa 20 mila le persone che hanno invece preso parte ai Far East Film Events, disseminati nel centro di Udine, includendo i visitatori della grande mostra Mondo Mizuki, Mondo Yokai.
Il FEFF online, in streaming su MYmovies ONE con 23 titoli, ha infine superato le 10 mila ore complessive di visione. Tra i titoli più amati dagli spettatori, oltre al durissimo noir mongolo Silent City Driver di Janchivdorj Sengedorj (la community di MYmovies, ricordiamo, gli ha attribuito il Gelso Viola), va segnalato il thriller giapponese A Bad Summer di Hideo Jojo con 1426 ore.

Dal nostro inviato Paolo Dallimonti.