Scheda film
Regia: Anne Fontaine

Soggetto e Sceneggiatura: Pascal Bonitzer e Anne Fontaine tratto dalla graphic novel “Gemma Bovery” di Posy Simmonds
Fotografia: Cristophe Beaucarne
Montaggio: Annette Dutertre
Scenografie: Pascaline Chavanne
Costumi: Andy Pryor
Musiche: Bruno Coulais
Francia, 2014 – Drammatico – Durata: 99′
Cast: Gemma Arterton, Fabrice Luchini, Jason Flemyng, Elsa Zylberstein, Niels Schneider, Mel Raido, Kacey Mottet Klein, Isabelle Candelier, Philippe Uchan
Uscita: 29 gennaio 2014
Distribuzione: Officine UBU

Un film da romanzo
Si può trasferire lo spirito di un romanzo e di un autore senza scegliere la strada della trasposizione fedele? Tanti casi dimostrano di sì e anzi, spesso il tradimento aiuta, ma il caso di Gemma Bovery di Anne Fontaine è ancora un altro modo per affrontare questo scoglio e il fantasma letterario. La regista francese – glielo riconosciamo sin dalle prime righe – ci riesce benissimo creando un mix tra cinema e letteratura, senza che quest’ultima abbia il sapore di un ricordo sbiadito.
Alla prima lettura del titolo chiunque, anche chi non l’avesse mai letto, non può che avere in mente un libro: “Madame Bovary” di Gustave Flaubert (1856), uno di quei testi che spesso propinano a scuola e che o lo si digerisce come compito a casa oppure lo si ama facendosi travolgere da quella storia e dalla calda penna flaubertiana. Partendo dall’omonima graphic novel di Posy Simmonds, la regista con Pascal Bonitzer ha creato il suo intreccio amoroso catapultando un’inglese (Gemma Arterton) nei fantastici colori, profumi e umori della Normandia. A far le veci in campo della Fontaine c’è Martin Joubert (Fabrice Luchini), che si fa narratore e metteur en scene – con la sua immaginazione – di ciò che vede accadere sotto i suoi occhi (come se il romanzo che tanto ama si concretizzasse), ma anche personaggio che agisce interferendo negli intrecci d’amore, mosso dalla voglia di salvare colei che «si annoia» nel normale fluire della vita.
Vi sembreremo un po’ criptici nell’esporvi in questo modo parte della sinossi, ma è tutto voluto per non togliervi il gusto di scoprire come lo scrittore francese possa (ri)vivere in questo film. «C’è un momento in cui la vita imita l’arte» e questa battuta racchiude molto il senso di Gemma Bovery.
Diversamente dalla graphic novel che ha un’ambientazione londinese, qui tutto profuma di francese dalle location (merito anche del direttore della fotografia Cristophe Beaucarne) alle soluzioni visive sull’onda dell’immaginario e dell’archetipo, ma l’humor è frutto di due culture.
Il nostro Joubert sforna tanti diversi tipi di pane: è così che parte la pellicola mentre frasi evocative richiamano un altro mondo e sarà proprio quest’attività, rilevata dal padre (dopo aver lasciato Parigi e il mondo dell’editoria), a conquistare Gemma – sublime la scena in cui l’uomo le insegna a impastare, un mix di significati dove la seduzione si sposa grazie anche a uno sguardo ironico e, al contempo, fantastico. Luchini si era già cimentato in Molière in bicicletta affrontando un personaggio che abbandonava la città per l’amena campagna, in Gemma Bovery tira fuori un fascino tutto da personaggio letterario, pronto a farsi, però, il suo film.
Emma e Gemma: vivono a distanza di anni l’una dall’altra, ma è come se una – inconsapevolmente – calpesti i passi dell’altra.
La regista di Coco avant Chanel (2009) conosce bene i linguaggi dell’amore (frequentati più volte nel suo percorso cinematografico) e sa anche mettere abilmente a tema l’incomunicabilità propria della protagonista sia del romanzo che del lungometraggio. Ora non sappiamo come sarà resa nel doppiaggio in italiano, certo è innegabile che la musicalità del francese (ora sognante, ora ironico di Luchini, ora da tombeur de femme di Niels Schneider) aggiunge un tocco al tutto, persino la stessa Gemma che non comprende bene la lingua cade nella trama di parole romantiche, piene di desiderio, ma come si suol dire: «il desiderio porta in sé la morte».

Voto: 7 e ½

Maria Lucia Tangorra