Recensione n.1

Betty (Renée Zellweger), cameriera in una tavola calda a Kansas City, e’ sposata al bieco Del (Aaron Eckhart), ma l’uomo dei suoi sogni e’ il dr.David Ravel (Greg Kinnear), personaggio della soap opera “A reason to love”. Quando Del viene ucciso davanti ai suoi occhi, Betty
comincia a confondere realtà e fantasia e scappa alla ricerca del dottor Ravel, inseguita da due sicari (Morgan Freeman e Chris Rock)…
Neal LaBute e’ un regista che non mi ha mai entusiasmato. Dal suo pessimo esordio con “Nella società degli uomini” si e’ parzialmente risollevato con il discreto “Amici e vicini”, rimanendo comunque al massimo un regista di film piacevoli ma non certo un innovatore.
Con questa premessa, sembrerebbe strano che tra tanti film in giro mi sia spinto a vedere “Betty Love”: sono però rimasto vittima dell’accattivante manifesto del film, e ho quindi deciso di dare a LaBute una terza (e ultima?) chance.
E, tutto sommato, non sono dispiaciuto di averlo fatto. “Betty Love” e’ un film piacevole e divertente, a tratti cattivo e inquietante, imprevedibile fino alla fine senza essere costellato di inutili colpi di scena (che, anzi, sono praticamente assenti). E nobilitato da un casting incredibilmente azzeccato che fa della scelta stereotipata degli attori una ragion d’essere, quasi a voler rendere caricaturali non solo i personaggi, ma anche gli attori che li interpretano.
LaBute non passerà mai alla storia del cinema, ma dimostra di essere capace di costruire piccoli film che, giocando su elementi già conosciuti (i personaggi, le ambientazioni e le atmosfere di “Betty Love” sono un concentrato di quelle di altri film, in primis “Fargo” e “La fortuna di Cookie”) producono un insieme originale.
Voto: 7

Graziano Montanini

Recensione n.2

Il 2001 sarà ricordato anche per l’ascesa vertiginosa dell’attrice Renèe Zellweger, trovatasi probabilmente al posto giusto nel momento giusto. Credo che in questo momento storico ci sia una gran voglia di riconoscersi nei panni della donna media, con problemi reali, difetti possibili.
La Zellweger sembra essere l’icona perfetta.
Dopo lo straripante successo di il diario di Briget Jones, la incontriamo in Betty love, dove veste i panni dell’ingenua cameriera Betty. Nella sua piatta vita di provincia in Kansas, è affascinata dalla soap opera “A reason to love”, della quale anche durante il lavoro non perde nemmeno una puntata.
Segue in particolare le patinate vicende del suo eroe, il dottor David Ravell. Negli anni ha imparato ad amarlo, a convincersi che quando il dottore parla di un possibile romantico incontro futuro, si stia rivolgendo proprio a lei. L’occasione per la fuga e per la possibile realizzazione del sogno arriva quando il volgare e maschilista marito di Betty è ucciso da due perfidi killer (uno dei quali è uno stralunato e filosofico Morgan Freeman). L’omicidio della ragione sembra liberare spazio per la fantasia. Betty in uno stato di semicoscienza parte per incontrare il suo amore di una vita, il dottor David della Soap opera.
Neil Labute, al suo terzo film, affronta un tema attuale come quello del concetto di realtà, nel mondo contemporaneo dominato da immagini di finzione. La vita che sogna la protagonista non può che essere quella di evasione delle soap opera, una vita con i sentimenti esasperati ma banali, romantici, strazianti, spesso intervallati da scintillanti spot pubblicitari. Ogni giorno questa vita da sogno si ricostruisce nel ventre della macchina da sogni per eccellenza, Hollywood.
Sicuramente Betty love è una divertente, smaliziata, commedia nera, ironica nella sua apparente superficialità. Offre diversi spunti nella quieta riflessione sull’ontologia dell’immagine mediatica. Il regista dimostra una certa consapevolezza nel gestire i diversi timbri impartiti di volta in volta alla favola on the road della giovane Betty. Non si lascia scappare neppure l’occasione di rivisitare alcuni luoghi sacri del mito americano. Il gran canyon offrirà il perfetto sfondo a due momenti d’amore cosi stucchevoli e finti da potersi inserire in una qualsiasi soap opera, mentre la giovane Betty a più riprese sembra voler citare la Judy Garland del mago di Oz, non solo per il plot della storia (lì dal Kansas ci si svegliava nel mondo incantato di Oz, qui all’interno dei set che hanno generato quel mondo fantasmagorico) ma anche nel continuo stupore, ingenuità che offre la Zellweger al suo personaggio. La regia è secca, decisa, offre poco spazio agli orpelli della narrazione. Parte da un plot noir, passa per la commedia rosa e approda ad un apologo più pessimista del vicino fratello Truman show.
La consapevolezza della propria forza Betty la ottiene, ma solo scendendo a patti con il palinsesto televisivo che disegna la sua esistenza. La differenza fra vita reale e finzione è ormai acquisita, ma solo con la partecipazione alle puntate del serial la protagonista potrà pagarsi gli studi per diventare una vera infermiera. La tv nella vicenda si offre come strumento di sogno, d’evasione, ma anche come certificazione di realtà. Grazie ad essa Betty uscirà dalla semicoscienza, tornerà a vivere.
La conclusione quindi è amara. La televisione spazzatura contemporanea ha preso il posto della realtà e del fato. L’importante nel 2001 (“…non siamo negli anni ’40!”) è trovare il proprio spazio nel palinsesto, partecipare al reality show che può trasformare la nostra vita per sempre. Forse sarebbe il caso d’incominciare a vivere rinnegando lo spazio pirandelliano dell’apparire, per imparare ad essere.

Paolo Bronzetti

Recensione n.3

Filmetto passato – fortunatamente e inevitabilmente – inosservato, BETTY LOVE è la tipica opera indipendente da festival che non piace a nessuno (se non a qualche vecchietta in cerca di emozioni facili). Un progetto fallimentare già dalla partenza: un’ingenua cameriera, patita di (e rincoglionita da) una soap opera, assiste all’omicidio del marito proprio mentre in tv viene trasmesso il suo programma preferito. Tale shock le farà credere di stare vivendo in quella soap, e inizierà un viaggio alla ricerca del protagonista (che ama), mentre gli scagnozzi che hanno fatto fuori il marito la inseguono. Ora, chi dà più retta a queste storie? specialmente dopo THE TRUMAN SHOW? E soprattutto, chi dà più retta a questi filmetti in stile Sundance?
Neil LaBute dal canto suo prova solo a mettere insieme i pezzi, ma la sua regia è piatta, vuota, amorfa. Non a caso la coppia di scagnozzi, la cosa migliore del film, sembra presa da un film di Tarantino. E le scemenze sociologiche, che non si capisce mai se dette seriamente o no, lasciano il
tempo che trovano. Tutto il resto è un misto di cazzate che spaziano da Todd Solondz ai peggiori filmacci stile HAPPY TEXAS.
Vergognoso.

Andrea D’Emilio

Recensione n.4

Vi siete mai innamorati di un personaggio di pura finzione?
Da bambini, parlo della generazione degli attuali trentenni, non era difficile provare una vera e propria passione per qualche eroina spaziale dal gonnellino svolazzante (in alternativa alla tutina super-aderente), di solito con il ruolo ingrato di spalla in uno dei
tanti cartoni animati giapponesi dell’epoca. Succedeva spesso che il protagonista non avesse scampo e allora ZAC! arrivava lei, che con giudizio e misura lo aiutava a sbrigarsela, spianandogli la strada per la distruzione finale del nemico. Seguivano risate e strette di mano, una riconoscibile chiusa musicale e poi la trepida attesa della puntata successiva. Dopo sono arrivate le telenovele, con personaggi in carne ed ossa al posto di quelli di cartone. Ma le dinamiche erano in fondo le stesse: incredibili difficoltà per raggiungere un miraggio di felicità, di solito lontano centinaia di puntate. Ed anche in questo caso poteva accadere, data la frequentazione giornaliera, di prendersi a cuore il destino di un qualche personaggio.
La giovane Betty, protagonista del film di Neil Labute, non si limita ad appassionarsi ad una soap, ma si innamora perdutamente del medico protagonista, anche perche’ il quotidiano le riserva una vita piatta accanto a un animale di marito. Un brutto shock, però, la porterà a rifiutare la realtà per trovare accogliente rifugio nella sua
telenovela preferita.
Uscito con discreto ritardo, sull’onda del successo de “Il diario di Bridget Jones (con la stessa Zellweger protagonista), “Betty Love” e’ un curioso ibrido tra il pulp e la commedia sofisticata. Se la coppia Morgan Freeman/Chris Rock emula un pò troppo il cinismo modaiolo, ma ormai datato, alla “Pulp Fiction”, per una volta le moine di Renee Zellweger contribuiscono a rendere il personaggio di Betty davvero fragile e dolce.
Si fa un pò di fatica ad entrare nello spirito del film. I continui cambi di registro, all’inizio disorientano, poi, però, contribuiscono a mantenere il film sul filo di una liberatoria follia narrativa. E se l’incredulità riesce a restare quasi sempre sospesa, il merito e’ di una sceneggiatura (premiata a Cannes) molto attenta a rendere plausibile la storia e a rispondere agli interrogativi dello spettatore. Interessante lo sguardo trasversale sulla provincia americana, che si conferma luogo da incubo, e l’ironia sottesa al rapporto tra finzione e realtà.

Luca Baroncini