Scheda film
Titolo originale: I, Daniel Blake

Regia: Ken Loach
Sceneggiatura: Paul Laverty
Fotografia: Robbie Ryan
Montaggio: Jonathan Morris
Musiche: George Fenton
G.B./Francia, 2016 – Drammatico – Durata: 100’
Con Dave Johns, Hayley Squires, Dylan McKiernan, Briana Shann, Kate Runner, Sharon Percy, Kema Sikazwe, Natalie Ann Jamieson, Micky McGregor, Colin Coombs, Bryn Jones, Mick Laffey, John Sumner
Uscita: 21 ottobre 2016
Distribuzione: CINEMA di Valerio De Paolis

Lotta per l’identità

Pochi film riescono a provocarti una stretta al cuore e a prenderti di pancia, Io, Daniel Blake di Ken Loach lo fa appieno. Un punto centrale, da chiarire subito, è che non c’è retorica. Il regista britannico riesce a metterci sentimento senza (s)cadere in sentimentalismi, a ciò si aggiunge un mix di crudezza, verità e tanta tanta umanità.
Si parte su nero, con le voci fuori campo che fanno immediatamente immergere lo spettatore nella situazione in cui versa Daniel Blake (un immenso Dave Johns) per quanto la gravità la si comprenderà e vivrà cammin facendo grazie a lui e a Katie (Hayley Squires). Lei è una una giovane mamma single con due bambini, disoccupata e in cerca di supporto presso il centro preposto. È qui che cattura l’attenzione di Daniel, l’unico da cui riceverà un atto di pìetas.
Loach con una crudezza e una delicatezza innate riesce a trasmettere, a distanza di pochi minuti, la spersonalizzazione umana legata a persone che devono fare i funzionari e, subito dopo, come l’uomo possa essere accogliente. Capita di frequente di pensare che in una guerra tra poveri non si guardi in faccia nessuno, invece Io, Daniel Blake ci ricorda come il capire e provare le medesime difficoltà possa davvero commuovere, nel senso anche concreto di muoversi nel compiere qualcosa per l’altro.
Ci sono degli istanti in cui ti ritrovi, come spettatore, a sorridere mentre il plot scorre, ma è un sorriso di incredulità perché troppe frasi che questi uomini e donne si sentono dire hanno un sapore assurdo, in più ledono la dignità umana. Daniel, alla soglia dei sessantanni, è un lavoratore infaticabile, nello specifico un falegname, ma si è adattato – ed è pronto a farlo ancora – nel far tutto ciò che materialmente è in grado di fare. In seguito a un infarto, il suo medico gli ha vietato di tornare a lavorare, l’indennità per malattia, però, a una prima visita non gli è stata riconosciuta. Si ritrova nella paradossale e infernale condizione per cui da un lato deve impugnare questa decisione in modo tale da ricevere il sussidio, al contempo, però, deve cercare lavoro dimostrando che sta davvero facendo colloqui, altrimenti potrebbe subire severe sanzioni.
Daniel e Katie si ritrovano risucchiati e annientati dalle leggi amministrative. Certo, siamo in Gran Bretagna e lo si avverte da alcuni termini e situazioni specifiche, ma andando oltre la localizzazione, come non condividere quel muro di gomma della burocrazia con cui tutti, indipendentemente dalla nazione, ci si scontra, tanto più di fronte alla perdita del lavoro e difficoltà sociali. Il suo fedele sceneggiatore Paul Laverty e lo stesso Loach si sono documentati sulla situazione e questo film porta con sé tutto quel background anche se «i personaggi di Daniel Blake e Katie Morgan non si basano su nessuna delle persone che abbiamo conosciuto. Non possiamo o trasportare le storie del banco alimentare o della fila dell’ufficio di collocamento direttamente in un copione. […] Molti dipendenti degli uffici di collocamento ci hanno detto che avrebbero voluto dare più aiuto a queste persone, ma i loro manager gliel’hanno impedito, perché erano preoccupati di dover ridurre l’afflusso agli uffici», ha dichiarato Laverty e questo è uno degli aspetti che Io, Daniel Blake mostra con più spessore. Sì perché Loach sa bene come andare in profondità parlando del sociale e delle nostre piaghe, indaga come se dovesse girare cinema del reale, un documentario, e poi cerca – e qui ci riesce benissimo – di fotografare noi umani alle prese con la nausea e il mal di testa da fame. Quello che ci mostra è crudele, anche perché sappiamo che ci si può “ridurre” davvero così, ma anche i momenti più forti e le scelte dettate dalla disperazione vengono messe in scena e riprese con quella dignità che, invece, la burocrazia dimentica. Il titolo, Io, Daniel Blake, vuole essere un grido sì di dolore, ma ancor più volto a rimarcare la propria identità in un mondo fatto di numeri da far quadrare, il tutto in linea con lo sguardo militante di Loach. Non è la prima volta che nei titoli delle opere di questo cineasta compaiono i nomi di persona (da La canzone di Carla del 1996 a My name is Joe del 1998 o ancora Jimmy’s Hall di due anni fa) e ciò mostra ancora una volta quanta attenzione e rispetto ci sia verso la persona. Nella serie andata in onda sulla BBC, Cathy Come Home, il cineasta inglese già nel 1966 si era mosso nella direzione di rappresentare la la parabola discendente, a causa della società, in questo caso di una coppia, Cathy e Reg, verso la povertà e la mancanza di una fissa dimora. Tornando all’ultimo lavoro di Loach, vi consigliamo di non perderlo perché non solo scoprirete cosa sono i contratti zero ore (escamotage che ha sconvolto molte esistenze) e tante logiche burocratiche umanamente illogiche, ma vi ritroverete a partecipare a questa “lotta” silenziosa, in particolare, di un uomo e una donna, desiderosi di essere “solo” esseri umani e non solo con doveri.
Dopo esser stato premiato con la Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes e insignito del Premio del Pubblico al Festival di Locarno 2016, Io, Daniel Blake arriva nelle nostre sale grazie a Cinema di Valerio De Paolis.

Voto: 8 e ½

VC (MLT)