Scheda film
Regia: Umberto Contarello
Sceneggiatura: Umberto Contarello e Paolo Sorrentino
Fotografia: Daria D’Antonio
Montaggio: Federica Forcesi
Scenografie: Erika Aversa
Costumi: Olivia Bellini
Musiche: Danilo Rea
Italia, 2025 – Commedia/Drammatico – Durata: 91′
Cast:
Umberto Contarello, Eric Claire, Carolina Sala, Margherita Rebeggiani, Lea Gramsdorff, Stefania Barca, Alessandro Pacioni
Uscita in sala: 15 maggio 2025
Distribuzione: Piper Film, Numero 10 e The Apartment

Umberto C.

Uno sceneggiatore “bugiardo, presuntuoso e inaffidabile” (e in declino) cerca di salvare il salvabile: un nuovo progetto di serialità per il quale non sembra più adatto (o forse non lo è mai stato); il tentativo di aiutare (e indottrinare) una giovane aspirante collega; il rapporto con la figlia, insanabile dopo il divorzio dalla moglie; la scoperta di un nuovo figlio fino ad allora ignorato. Tra scene “inutili”, che danno poesia – magistrale quella finale, con “l’infinito” del titolo tracciato sul monopattino in una Piazza Navona innevata – e turning point difficili da comprendere nella propria poetica, il protagonista realizzerà che forse c’è ancora un briciolo di futuro…

Tra Mazzacurati (cui il film è dedicato) e Sorrentino (che co-sceneggia e produce), il debutto dietro la macchina da presa di un esordiente di lusso come Umberto Contarello non può lasciare indifferenti. In una meravigliosa “scala di grigi”, come ha detto lo stesso regista, più che in biancoenero, firmata dalla fidata Daria D’antonio, presa in prestito dall’autore de Le conseguenze dell’amore, le disavventure di questo personaggio non necessariamente né completamente autobiografico filano via in un’ora e mezza grondanti sarcasmo, ironia e quel cinismo prettamente veneto che scorrono nelle vene dell’autore.

Umberto risponde alla sua giovane collega:”Le storie sono belle o sono brutte”, sottolineando che un rubinetto può funzionare o meno, ma non una sceneggiatura. L’allenatore di canottaggio che gli chiede: “Ma c’hai paura di morire?”, si sente dire: “No, di sopravvivere”. Dai ricordi affiora un “Califfone viola, il più brutto della storia del motociclo” o “il Vetril”, che una suora usava insieme alla carta di giornale per pulire i vetri simulando una sorta di “ciao!” scorto in trasparenza. Alla domanda di una ex: “Mi odi?”, la risposta è: “No, non odio: detesto”. E si lascia andare a sentenze lapidarie, quali: “Il sesso è come la fede: non deve avere senso”, o: “Finché posso vivo nel lusso”.

Come il suo protagonista, non necessariamente né completamente autobiografico, che ignora che direzione prendere, anche il film procede (fintamente) senza sapere dove andare. Ma dietro c’è uno sceneggiatore di razza, che, per la prima volta, ha affidato alla macchina da presa il suo diario personale e la propria creatività per confidarsi allo spettatore. E se non a tutti può importare della crisi di mezz’età di un alto borghese sfaccendato, le questioni esistenziali che solleva riguardano tutti, nessuno escluso.

Voto: 7 

Paolo Dallimonti