Parte sabato 14 giugno, la 61esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema con il contributo del Ministero della Cultura – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, del Comune di Pesaro e della Regione Marche. Il Festival è diretto da Pedro Armocida.
La sigla è firmata, come il manifesto, da Simone Massi. Il suo è un cinema fatto con materiali semplici e in bianco e nero, punteggiato da tocchi di vermiglio.
La 61esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema è realizzata con il contributo del Ministero della Cultura – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, del Comune di Pesaro e della Regione Marche. L’accesso ai bandi e tutte le informazioni sono sul sito www.pesarofilmfest.it; tutti gli aggiornamenti saranno disponibili anche sui canali social ufficiali: Facebook, Instagram, Twitter.

A guerra finita (Simone Massi). In cinque minuti l’animatore marchigiano, nativo di Pergola, autore della sigla e del manifesto di questa edizione del festival, dice più di qualsiasi trattato sulla pace e la guerra. Le immagini in bianco e nero sono pià espressive di qualsiasi parole. E, se ce ne fosse bisogno, quelle di Gino Strada, nel finale, mettono una pietra sopra a qualsiasi argomentazione possibile: la guerra andrebbe abolita così come è stata abolita la schiavitù. Lapidario. Voto: 10

Dell’ammazzare il maiale (Simone Massi). “Ai primi di gennaio gli uomini entrano nella casa del maiale e lo legano per il muso. Mentre viene trascinato fuori il maiale ha modo di vedere il cielo e le cose del mondo”. In questo lavoro del 2011 Massi raggiungeva già vette di poesia altissime, col suo stile personalissimo e anche qui senza parole. La morte (imminente) e la vita intorno si sposano in un matrimonio mai celebrato (così) prima. Esistenzialistico. Voto: 10

Tengo la posizione (Simone Massi). Attraverso le parole de “La casa in collina”di Cesare Pavese, più volte mostrate come quelle di uno scritto che ritorna più volte, nella pure breve durata, in questo lavoro del lontano 2001 Simone Massigià trova la sua poetica (e il suo inconfondibile stile). La guerra, i  partigiani, la morte: il tenere la posizione come un destino dal quale non poter sfuggire, mentre la Storia si srotola intorno. Epocale. Voto: 9

Al Basateen (Antoine Chapon). Attraverso tecniche miste, il film denuncia la distruzione dei quartieri storici di Damasco da parte del regime siriano, tra punizione politica e speculazione edilizia… Straordinario piccolo film che usa l’arte per denunciare, richiamando echi di tante “ricostruzioni” avvenute anche nel nostro paese: il nuovo che avanza deve nascondere e oscurare tutto ciò che c’era prima, poiché in tanti modi fastidioso. Le immagini del futuro quartiere, linde e pinte e del tutto prive di anima, fanno davvero paura, più di ogni repressione… Tecnologicamente ribelle! Voto: 8

Io so chi sono (Simone Massi). Un’excursus personalissimo del regista, datato 2004, in cui si incammina “su per le schiene dei miei avi; su, fino a casa”. Lo stile è già quello, raffinato, pur trattando di contadini, e la poesia, proprio per quello, è sempre elevatissima. Un amarcord sincero e toccante. Ancestrale. Voto: 8

Evidence (Lee Anne Schmitt). La regista Lee Anne Schmitt riflette sul peso del capitalismo nella vita familiare e affettiva, intrecciando archivi e memorie in un film personale dedicato al padre. Recuperando immagini d’archivio, da siti di produzione e da una raccolta privata e familiare, realizza un film che porta avanti una meditazione sulla ricaduta dei grandi capitali sulla nostra idea di attenzione per i cari e di famiglia, ma anche sul legame che si può individuare fra l’attacco che la destra sta portando all’autonomia del corpo e la crisi ambientale. Un’opera complessa e sottile, quasi entomologica, nel voler scavare alle origini della Destra americana attuale. Imbarazzante (per chi è di destra). Voto: 7 e ½

Insignificant specks of dust in a tapestry of stars (Kyllachy). Un viaggio visivo tra miniere africane e spazio profondo, il film intreccia simboli e immagini per riflettere sul costo umano ed ecologico del progresso. Opera sperimentale del collettivo Kyllachy, nato nelle Highlands scozzesi nel 2022, il piccolo film mette a confronto lo spazio profondo con le profondità del nostro pianeta, ponendoli nella tragica connessione in cui in realtà sono legati. Una riflessione amara, ma attenta. Trasversale. Voto: 7 e ½

Paul a Mayerling  – Un ritratto (Antonio Pettinelli). Il racconto, personale e corale, di un’esistenza indissolubilmente legata al cinema, quella del regista Paul Vecchiali. Mayerling è il titolo del film di Anatole Litvak del 1936, che ha segnato il suo destino di cineasta ed è anche il nome della casa nel sud della Francia in cui ha vissuto e realizzato i suoi ultimi film. Un luogo in cui le storie e i personaggi si intrecciano. Storie di un cinema che è sempre stato altro rispetto al contesto comune. Tredici anni dopo l’avvio delle riprese, iniziate a settembre del 2009, Paul osserva sé stesso e i suoi collaboratori che lo raccontano. Con la stessa passione di un tempo parla del suo cinema, pensato “per invadere piuttosto che per evadere”. Un’idea di cinema, di estetica, di relazione e responsabilità con l’arte e con la vita. Emerge così il racconto di una figura mastodontica del cinema francese, per quanto nella “nicchia” dell’autorialità. La vita del regista di Once more – Ancora, scomparso nel 2023, diventa, nel suo racconto ed in quello dei suoi collaboratori, un omaggio al Cinema stesso, alla sua storia e alla sua essenza. Essenziale. Voto: 7 e ½

12 asterisci (Telemach Wiesinger). Come ha dichiarato il regista, la ricerca è cominciata in Germania, con la sua storia di divisione Est-Ovest, per poi procedere lungo i suoi confini interni. Poi, come in un road-movie e per curiosità, la ricerca si è spinta all’esterno, raggiungendo tutti gli stati membri della UE e i loro avamposti. Differenze di temperature, stagioni e condizioni meteorologiche, così come l’atmosfera specifica delle frontiere sia fisiche sia immateriali dell’Europa si percepiscono. Macchina da presa e microfono esplorano interrogando la realtà. Il biancoenero, insieme con il suono, è da una parte oggettiva, diretta e reale, dall’altra invece astratta, surreale e soggettiva. Un lungometraggio sperimentale che affascina e lascia incollato lo spettatore allo schermo. Ipnotico. Voto: 7

Il primo figlio (Mara Fondacaro). Ada (Benedetta Cimatti) e Rino (Simone Liberati) si trasferiscono in una nuova casa in campagna, mentre attendono la nascita del loro secondo figlio, Lorenzo. Man mano che si avvicina il parto, il senso di colpa per la morte del primogenito affiora in Ada, che inizia a vedere il ragazzo. È veramente tornato per impedire la nascita del fratello o la mente della donna sta andando in frantumi?… Interessante debutto alla regia per Mara Fondacaro, che aveva vinto nel 2023 il Premio SIAE per la sceneggiatura alla Festa del Cinema di Roma, destinato alla futura produzione del film. L’elaborazione del lutto viene declinata nella pellicola nel più puro genere horror, senza lasciarci comprendere, fino al finale, che cosa stia accadendo realmente. Fondacaro è molto attenta ai dettagli, conferendo al prodotto finale un’aura non comune, pur rispettando fermamente le regole. Inquietante. Voto: 7

Lo que creemos es lo que cuenta para nuestra vida (Assia Piqueras). Questo cortometaggio documentario che – grazie all’uso dello split screen – prende forma di trittico, è un’esplorazione della vita e dell’opera di Manuel Piqueras Cotolí, scultore e architetto spagnolo emigrato in Perù nel 1919; ma ad essa è sottesa una riflessione sull’immagine attraverso l’immagine. La regista accosta a pellicole 16mm, scoperte nell’archivio di famiglia, immagini contemporanee e parole che appaiono sugli schermi, rivisitando la memoria personale e collettiva stratificata nelle narrazioni, divisa fra Perù e Spagna. Quando i ricordi non bastano fa appello alle immagini e, quando di queste non v’è più traccia, ricorre alle testimonianze: il tutto affrontando la questione della violenza dell’appropriazione colonialistica con lucidità e senso critico. Il taglio sperimentale dell’opera ne fa un affresco poetico irresistibile. Voto: 7

Sob a chama da candeia (André Gil Mata). Una casa ornata di azulejos, un giardino, una magnolia. E stanze piene di oggetti provenienti da vite passate. Tracce di tempo, gesti e affetti… Il regista portoghese, naturale erede qui di Manoel De Oliveira, per i suoi tempi dilatati, con numerosi carrelli a procedere e a retrocedere, indaga e racconta una casa e le ombre che l’hanno abitata e resa viva.  Benché passi più di mezzora dal primo scambio di dialoghi, la pellicola riesce a catturare lo spettatore proprio grazie all’alternarsi di piani temporali. Per rivelarsi poi, verosimilmente, solo il ricordo nella testa, piena, dell’anziana protagonista. Indagatore. Voto: 7

Underground (Kaori Oda). Kaori Oda usa “l’ombra” per connettere vivi e morti, passato e presente, esplorando paesaggi sotterranei come Okinawa e Sapporo in un viaggio tra memorie sepolte. Lungometraggio sperimentale che riflette sul passato del Giappone, insinuandosi “fra il sottosuolo e ciò che sta sulla superficie, fra le cose perdute e ciò che è rimasto, fra i vivi e i morti”. Il risultato, anche se non sempre digeribile, è molto forte e riesce comunque ad arrivare allo spettatore. Esploratore. Voto: 7

¿Como suturar la tierra? (Wil Paucar Calle). Tra immagini notturne e vecchie foto proiettate sui paesaggi, il film racconta la fuga della madre del regista dalla guerra in Perù, in un viaggio poetico nel passato. Curioso cortometraggio a tratti suggestivo, che trasfigura su elementi d’ambiente, come ad esempio le foglie, i soggetti al centro del racconto. Integrante. Voto: 6 e ½

Buseok (Park Kyuaje). In questo cortometraggio sperimentale una persona non identificata ripercorre le tracce della storia della propria famiglia: il suo viaggio tocca in particolare Geomeunyeo e il Tempio di Buseok, che insieme alla casa dove viveva la nonna formano una linea retta sulla mappa della Corea del Sud. Geomeunyeo è una roccia che si trova in una zona bonificata di Buseok (che significa “roccia galleggiante”): originariamente una barriera corallina che emergeva dalle acque del mare, ora semplicemente un promontorio. L’uso poetico della pellicola e della grana così come la sapiente alternanza di negativi a colori e in bianco e nero, non bastano però a conquistare l’attenzione dello spettatore, restando solo un esercizio di stile. Mnemonico. Voto: 6

Cartas do absurdo (Gabraz Sanna). Un film che denuncia il genocidio dei nativi brasiliani attraverso lettere seicentesche e un viaggio visivo potente verso la “civiltà” in un lungo piano sequenza. Lodevole per le intenzioni, il medio metraggio però si presenta come una sfida visiva, a tratti insostenibile. Mezz’ora di piano sequenza, in un carrello a procedere navigando nell’acqua verso la costa, per buona parte senza parole, è veramente troppo. Audace. Voto: 6

Unstable rocks (Ewelina Rosinska e Nuno Barroso). Geologia, animali e l’umano cammino sono i protagonisti di questo suggestivo ritratto di paesaggi portoghesi, in cui scorrono senza soluzione di continuità. Ma, pur nella breve durata, il risultato rimane abbastanza ostico. Granitico. Voto: 6

La giuria internazionale, composta da Rodrigo D’Erasmo, Anna Marziano e Alain Parroni, ha decretato vincitore del PREMIO GIURIA INTERNAZIONALE della 61esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema AL BASATEEN di Antoine Chapon per la seguente motivazione: un film che trasforma un paesaggio pubblicitario in un paesaggio di resistenza, dando voce agli abitanti di un quartiere che prosegue l’opposizione a un regime ingiusto. La promessa del mero lusso e l’incuranza verso la degradazione dell’ecosistema viene contrastato visivamente e sonoramente con l’ambizione di saldare lo spazio reale a quello immaginario. Giocando sul fragile equilibrio tra il mondo digitale e quello fisico, riafferma il ruolo attivo nella ridefinizione del rapporto con il reale.

Oltre al premio principale, la giuria ha determinato due menzioni speciali: la prima menzione speciale va a 12 ASTERISCI di Telemach Wiesinger per la sua acuta e profonda capacità di interrogarci apertamente sulla condizione del continente europeo, rivelando gli echi sinistri dei confini chiusi e delle guerre passate, rimettendo con urgenza nelle nostre mani la responsabilità singolare e plurale di opporsi attivamente alla violenza. In particolare, il film innova il rapporto tra suoni e immagini, attraverso la composizione di una pista sonora che diventa un vero e proprio saggio, da ascoltare e da leggere; la seconda menzione speciale va a DESIRE di Giuseppe Boccassini perché attraverso la pratica ecologica del riciclo delle immagini d’archivio, il film gioca con la forma del melodramma cercando di slegare lo slancio portante del desiderio dalle dinamiche di potere ad esso connesse nella rappresentazione delle interazioni tra i generi, in un periodo che precede l’esplosione delle lotte per l’uguaglianza e che ci incinta a portarle avanti.

La giuria giovani, composta da studenti provenienti dalle università di tutta Italia con insegnamenti di storia del cinema e dalle principali scuole di cinema e accademie di belle arti, ha scelto di premiare con il PREMIO GIURIA GIOVANI AL BASATEEN di Antoine Chapon per l’urgenza politica e umana del racconto che, attraverso l’uso innovativo di strumenti tecnici, restituisce voce e dignità alle famiglie siriane, cancellate non solo fisicamente da un luogo ma anche simbolicamente dalla storia. Il film supera le forme tradizionali del documentario e si impone come un potente atto sovversivo.

La giuria giovani ha poi determinato una prima menzione speciale per LO QUE CREEMOS ES LO QUE CUENTA PARA NUESTRA VIDA di Assia Piqueras per l’utilizzo della tecnica dello split screen, permettendo al montaggio di comunicare per sottrazione narrativa, potenziando lo sguardo dello spettatore. Per il contrasto sinestetico tra visuale e sonoro, freddezza e calore. Per aver trattato tematiche post-coloniali rievocando una memoria collettiva attraverso la ritualità del ricordo.

La seconda menzione speciale va a DUAS VEZES JOÃO LIBERADA di Paula Tomás Marques per la capacità di reinventare e rinnovare la classicità del biopic, trattando tematiche come l’identità di genere e la rappresentazione del corpo. Per la spinta ad avvicinare gli spettatori ad un cinema sperimentale attraverso l’ironia e l’umorismo senza però rinunciare alla dimensione autocritica del mezzo cinematografico.

La giuria composta dai critici del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – Fabrizio Croce, Vittorio Renzi e Sarah Van Put – ha assegnato il PREMIO DEL SINDACATO NAZIONALE CRITICI CINEMATOGRAFICI ITALIANI (SNCCI) a 12 ASTERISCI di Telemach Wiesinger per la capacità di mostrare attraverso immagini, concrete e al tempo stesso simboliche, la deriva politica e (anti) umana contemporanea. L’autore tramite il lavoro stratificato sul suono evoca, inoltre, una dimensione storica che permette al passato di riflettersi nel presente, suscitando inquietanti interrogativi rispetto al futuro.

La giuria critica ha poi decretato la menzione speciale per DUAS VEZES JOÃO LIBERADA di Paula Tomás Marques per il modo in cui la regista ha utilizzato con intelligenza e originalità il dispositivo del meta-cinema per raccontare la persecuzione e repressione che nel corso della storia hanno impedito e continuano a impedire la libera espressione della propria identità di genere. Il film mette in discussione il punto di vista egemone con il quale questi temi sono sempre stati affrontati proponendo una visione altra.

La sezione Vedomusica dedicata al concorso dei videoclip, con la giuria composta da Simone Emiliani, Federica Illuminati e Donato Sansone premia come vincitore LA MIA PAROLA di Shablo, Guè e Joshua diretto da Enea Colombi per l’equilibrio compositivo con cui viene resa la coreografia dei movimenti, per l’uso funzionale di una fotografia in bianco e nero al servizio del racconto e per l’efficacia della regia e della messa in scena.

Menzione speciale per J’EXISTE di Novze diretto da Marco Pacchiana per il modo alternativo in cui il regista, sfuggendo ai canoni tipici del videoclip italiano e ispirandosi al mondo cinematografico, sperimenta un linguaggio ibrido.

Premiata anche la migliore pellicola di animazione del PESARO FILM FESTIVAL CIRCUS curato da Giulietta Fara. Dopo una settimana di laboratori creativi e di proiezioni dedicate ai più piccoli, la giuria dei bambini e delle bambine ha premiato come miglior pellicola di animazione di questa edizione FLOW di Gints Zibalodis.

Sono stati inoltre consegnati i seguenti riconoscimenti ai vincitori del PREMIO LINO MICCICHÉ PER LA CRITICA CINEMATOGRAFICA, concorso organizzato dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – Gruppo Emilia-Romagna Marche insieme al festival:

SEZIONE A – GIOVANISSIMI (riservata agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado):

1° PREMIO Bianca Cicala per il saggio critico sul film “Conclave” di Edward Berger

2° PREMIO Diego Gessi per il saggio critico sul film “Il tempo che ci vuole” di Francesca Comencini

3° PREMIO Andreana Cimino per il saggio critico sul film “L’abbaglio” di Roberto Andò

SEZIONE B – GIOVANI (riservata agli studenti delle Università, Scuole di Cinema, Accademie di Belle Arti, Conservatori, ISIA, iscritti associazioni cinematografiche):

1° PREMIO Davide De Conte per il saggio critico sul film “The Brutalist” di Brady Corbet

2° PREMIO Gabriele Stefani per il saggio critico sul film “Here” di Robert Zemeckis

3° PREMIO Samuele Beriotto per il saggio critico sul film “The Substance” di Coralie Fargeat

Il concorso (Ri) Montaggi Il cinema attraverso le immagini, curato da Andrea Minuz e Chiara Grizzaffi e la sua giuria composta da Simone Emiliani, Federica Illuminati, Donato Sansone, ha assegnato il premio a SPECTRAL EXISTENCES di Giovanni Venturato per il modo rispettoso in cui il lavoro affronta un tema così importante, senza far leva sull’aspetto emotivo e mantenendo una forte connotazione politica sia dal punto di vista tematico che formale.

Da parte dei giurati la menzione speciale a COI PIEDI PER TERRA di Eliana Iorio per la creatività del montaggio e per come fa emergere, attraverso un sapiente lavoro di archivio, la condizione femminile e soprattutto la sua emancipazione.

Dal nostro inviato Paolo Dallimonti.