Scheda film
 Regia: Pupi Avati
 Soggetto e Sceneggiatura: Pupi Avati, Antonio Avati e Tommaso Avati
 Fotografia: Cesare Bastelli
 Montaggio: Ivan Zuccon
 Scenografie: Giuliano Pannuti
 Costumi: Maria Fassari
 Musiche: Amedeo Tommasi
 Suono: Pompeo Iaquone
 Italia, 2019 – Horror – Durata: 86′
 Cast: Filippo Franchini, Lino Capolicchio, Cesare S. Cremonini, Gabriele Lo Gudice, Massimo Bonetti, Ludovica Pedetta, Alessandro Haber
 Uscita: 22 agosto 2019
 Distribuzione: 01 Distribution
Cari mostri miei
Nella provincia veneta del 1952, all’alba di nuove elezioni, la DC romana manda in avanscoperta il giovane delegato ministeriale Furio Momentè (Gabriele Lo Giudice) perché faccia chiarezza su una strana storia che vede un bambino, Carlo (Filippo Franchini), accusato dell’omicidio di un suo coetaneo, Emilio, a sua volta tacciato di essere posseduto dal demonio.
Mentre in viaggio comincia a leggere i verbali dell’istruttoria, Momenté inizia a scivolare in un mondo a lui probabilmente estraneo in cui la politica si mischia con la religione, in cui la tradizione contadina si contamina col pregiudizio ed in cui il bene ed il male si confondono senza soluzione di continuità. Giunto sul posto, si troverà in un pericoloso inferno dal quale sarà impossibile uscire…
In quello che potrebbe sembrare il suo film di addio alle scene ad ottant’anni appena suonati, anche se in realtà ha dichiarato di aver in mente una intera sagasul “male”, Pupi Avati non soltanto ritorna all’amato (non solo da lui) horror, mettendo in scena una storia già data alle stampe con l’omonimo romanzo, ma si circonda davanti e dietro la macchina da presa di molti, se non tutti quelli che hanno fatto grande il suo cinema, di genere e non: Lino Capolicchio, Cesare S. Cremonini (da non confondere col quasi omonimo ex-leader dei Lunapop, che comunque già recitò col maestro), Massimo Bonetti, Alessandro Haber, Gianni Cavina; più i registi Cesare Bastelli alla fotografia e Ivan Zuccon al montaggio e Amedeo Tommasi alle musiche.
Su Pupi Avati e il suo cinema di genere è da sempre in corso un dibattito: se le sue commedie “avatiane”, dense di toni dolciamari, lo abbiano strappato ad una carriera di sicuro succeso nel genere o se i suoi film di genere (horror, fantastico, con molte contaminazioni) fossero solo una fuga, un divertissement dalle abituali tematiche.
Fatto sta che uno dei più prolifici registi italiani, con una media di un film l’anno, pur con svariati passi falsi, ha diretto capolavori su entrambi i fronti, come La casa dalle finestre che ridono e Una gita scolastica, a volte contaminando anche i vari livelli, come con Le strelle nel fosso.
Il problema di questo Il signor Diavolo è proprio che, se anche le atmosfere siano spesso realmente angoscianti, il suo autore non faccia davvero nulla per spaventarci. È come se ci dicesse. “Io sono Pupi Avati, ho fatto capolavori dell’horror e solo per questo dovete aver paura”. Per il resto sembra aver scritto e diretto con la mano sinistra (benché sia storicamente “la mano del diavolo”), adagiandosi molto sulle sue opere pregresse, spesso clonate e non solo citate.
Una scenggiatura a tratti confusa procede inevitabilmente verso un finale telefonato fin dall’inizio, abbozzando solo senza approfondire quei temi come la commistione tra politica e religione, quella tra religione e superstizione, la paura del diverso. E si traduce purtroppo, una volta messa in scena, in una occasione sprecata.
Note: grande assente è Carlo Delle Piane, volto storico del cinema di Pupi Avati, che, malato da tempo, non riuscì a prendere parte alle riprese e morì all’indomani della data d’uscita del film.
Voto: 6
Paolo Dallimonti


 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	
