Scheda film
Regia: Ciro Guerra
Soggetto: Theodor Koch-Grunberg, Richard Evans Schultes
Sceneggiatura: Jacques Toulemonde Vidal, Ciro Guerra
Fotografia: David Gallego
Montaggio: Etienne Boussac
Musiche: Nascuy Linares
Produzione: Buffalo Films, Buffalo Producciones, Caracol Televisión
Colombia, Venezuela, Argentina, 2015 – Avventura/Drammatico – Durata: 125’ – B/N
Cast: Jan Bijvoet , Nilbio Torres, Brianne Davis, Antonio Bolivar
Uscita: 4 agosto 2016
Distribuzione: Movies Inspired

Sale: 10

L’anaconda, il caucciù, il sogno, la memoria. Storia di uomini nell’Amazzonia di ieri e di oggi filmata da un colombiano giovane premio Oscar

Fiume tra sponde cangianti e misteriche. Fiume che narra a chi può o vuole ascoltare. Fiume che sotto liquida maestà mimetizza e muove la gigantesca anaconda che recò sul suo dorso alieni doni dalla Via Lattea. Fiume che scorre trascinando in sé le regole di cui è costruita la vita e che l’uomo ha assorbito, messo in pratica ma anche smarrito. Storia di sogni e di dimenticanza. Storia di convivenza, spiriti, emozioni, culture, possibilità. Uomini che si cercano, musica tra fronde ataviche, ferite grondanti, foresta che piange, la strada del fiume dentro il cuore di tenebra.
Storia di misteri e di meta-fisiche evoluzioni per Ciro Guerra, regista colombiano che con il suo lungometraggio El abrazo de la serpiente vince il premio Oscar 2016 per il Miglior Film Straniero mostrando, ma non traducendo vecchio e nuovo mondo sperduto e ricomposto in amazzoniche ancestrali visioni, in una pellicola 35mm in bianco e nero che senza virtuosismi o calligrafismi da National Geographic e senza dirompenti sparate post-colonialiste, si insinua tra presente e passato, tra gente e terre che sente “sue”, tentando di sfidare ed imprimere, novello cinematografico Fitzcarraldo, l’organica plasticità di un mondo che pulsa di un afflato ancora da comprendere, poiché esso stesso è il senso della vita da tutti bramato e temuto.
Sono infatti creature svuotate nell’Amazzonia squarciata di ombre grigie e lattescenti mutazioni, i protagonisti del film, l’americano etno-botanico Evan, che vuole trovare la leggendaria pianta della “yakruna”, rara e imperscrutabile, che ha il potere di insegnare agli uomini a sognare rintracciando il proprio spirito guida; il saggio Karamakate, sciamano ultimo erede della sua tribù sterminata dai conquistatori bianchi e guida paziente di Evan tra le spire del “serpente”; Theodor, etnologo tedesco che 40 anni prima aveva viaggiato in quei stessi luoghi, con il medesimo intento e con la stessa guida (Karamakate novello Virgilio che impedisce ai suoi discepoli di trasformarsi in deliranti colonnelli Kurtz).
Tour allucinogeno più che allucinante tra comunità di indios semi-civilizzati da santoni sacrileghi e lussuriosi laddove non schiavizzate da multinazionali occidentali; convenzioni imposte e inospitali, versioni di realtà, canonizzata, demolita, recuperata, oscura. Nell’Amazzonia delle miniere, waste land influenzata dalle verità “bianche”, false e pericolose, poiché parziali e ottusamente prevaricatrici. Così come Thedor non riesce a descrivere con il linguaggio umano la “bellezza” complessa di quel mondo, in lotta perpetua per fondare un equilibrio di sentimenti ed elementi, così Ciro Guerra non può tradurre ma si limita a trasmettere, in un flusso di coscienze tra loro “abbracciate” un elegante informale documento sulla sete di conoscenza e sul bisogno di consapevolezza della fallacia e dell’incompletezza della cultura umana laddove non contempli l’incontro paritetico con l’alterità.
E’ svuotato e inutile colui che non sa più ascoltare il dialogo della natura, che tutto sa e dice. Il messaggio del mondo vive, in ogni gesto, paesaggio, verso, nell’intreccio perenne tra dimensioni temporali, che si specchiano l’un l’altra, proprio come nel bianco e nero di Guerra, esplorazione tutta interiore, che della pasta del sogno fa respirare la sua pellicola, filtrando la trasformazione dell’essere e dell’esistere. Non esiste cultura superiore, non esiste “la” via, bianco e nero sono formalità deteriori e approssimative. Tutto dipende dalla prospettiva. In quanto siamo fatti della stessa sostanza dei sogni. E non solo…

RARO perché… è un film intenso e non per tutti.

Voto: 7 e ½

Sarah Panatta