Scheda film
Regia: David Ayer
Soggetto e Sceneggiatura: David Ayer
Fotografia: Roman Vasyanov
Montaggio: Jay Cassidy, Dody Dorn
Scenografie: Andrew Menzies
Costumi: Anna B. Sheppard
Musiche: Steven Price
Effetti Speciali: Genevieve Bevan-John, Christopher Brennan, Gareth Jolly, Craig Leong, Dan MacIntyre, Ceri Nicholls, Neil Toddy Todd, George Waite
Trucco: Robb Crafer, Jo Grover, Uxue Laguardia, Adrian Rigby, Malwina Suwinska, Chiara Ugolini
USA, 2014 – Drammatico/Guerra – Durata: 134’
Cast: Brad Pitt, Shia LaBeouf, Logan Lerman, Michael Peña, Jon Bernthal, Scott Eastwood, Jim Parrack, Jason Isaacs
Uscita: 02 Giugno 2015
Distribuzione: Lucky Red

La Furia dei Titani

Ambientato nell’Aprile del 1945, Fury racconta la storia di un gruppo di 5 soldati americani, capitanati dal sergente Don “Wardaddy” Collier (Brad Pitt, Bastardi senza Gloria – 2009), e della loro avanzata in territorio europeo durante la Seconda Guerra Mondiale. Il loro mezzo blindato, un carrarmato Sherman, gli permette di entrare tra le linee nemiche. L’obiettivo è quello di sbaragliare le forze tedesche di Hitler e raggiungere la fine della guerra nel più breve tempo possibile. Gli atti eroici consegneranno alla gloria le gesta di questo gruppo estremamente coeso da sembrare una famiglia.

Il film sarebbe dovuto uscire nelle nostre sale nel mese di febbraio, a ridosso della premiazione degli Oscar 2015. Spostato a primi di giugno e forse un po’ ingiustamente snobbato, Fury è un ottimo esempio moderno di cinema che rievoca con precisione le tematiche, le dinamiche e le psicologie dell’umanità alle prese con la peggiore piaga atavica con la quale l’uomo deve fare i conti giornalmente: la Guerra.

Ora, concentriamoci sulla parte più succosa di tutto il lungometraggio: il carrarmato che porta sul proprio cannone la scritta, fatta a mano dalla compagnia di soldati, “Fury”. La Furia che si scatena contro il nemico che minaccia l’intrinseco principio di patria, di casa e di luogo dove risiedono gli ideali del proprio essere. Una zona franca in territorio nemico, dove il concetto di lavoro, famiglia ed amore viene custodito metaforicamente in questa macchina di morte.
Emblematica è la frase ripetuta più volte dalla brigata alla fine di ogni singola rappresaglia: “Il miglior lavoro mai fatto!”.
All’interno di questo scafo corazzato troviamo i trofei di guerra nazisti contrapposti alle foto delle famiglie o delle fidanzate. Il bene ed il male sotto lo stesso tetto, indivisibili ed indistinguibili durante la guerra. Giudice supremo di questa lotta è un Dio tanto reclamato da entrambe le fazioni, che sembra giocare a dadi con l’essere umano. Forza superiore presente, ma allo stesso tempo menefreghista.

Il regista David Ayer (La notte non aspetta – 2008) dirige con fedeltà le scene di guerra. Ci trascina nel conflitto bellico con cineprese posizionate sui cingoli dei carrarmati. Allo stesso tempo ci porta all’interno di essi, disegnando con quel giusto senso di cameratismo gli stati d’animo dei protagonisti, che con l’andare del tempo diventano quasi confidenti dello spettatore.
Wardaddy, Bible (Shia LaBeouf, Trilogia dei Transformers – 2007/2011) , Gordo (Michael Pena, End of Watch – 2012), Coon-Ass (Jon Bernthal, The Walking Dead – 2010/2012) e Machine (Logan Lerman, Noi siamo infinito – 2012) compongono la “band of brothers”. Il ruolo fondamentale, dal quale ne escono prepotentemente i migliori insegnamenti, è affidato al personaggio interpretato da Brad Pitt. Quel “papà guerra”, punto di riferimento per l’intera truppa, è un uomo vero. Sul suo volto e sulla pelle sono evidenti due peculiarità, che tratteggiano l’uomo ed il carnefice. Viso sofferente davanti all’abominio dello sterminio globale. Solidale con la natura. Risparmia i cavalli dalla morte. Esseri viventi capitati in mondo distopico, spettatori di atrocità. Egli riassesta le distanze tra le due specie.
La sua schiena, bruciata e rovinata, è il simbolo esteriore di un male non voluto, ma accettato e messo in atto.
Machine è il novellino del gruppo, forse il personaggio più scontato, che indebolisce la sceneggiatura. Matricola che diventa uomo, ma qui il déjà-vù la fa da padrone. E’ protagonista di un atto di pietà da parte del nemico. Veridicità leggermente compromessa? La domanda sorge spontanea in un universo dove la salvezza è il fondamento per un soldato.

Fury ricorda, nel viaggio “on the road” tra le linee nemiche, Salvate il Soldato Ryan (1998) di Steven Spielberg. Sembra la sua degna continuazione.
Tecnicamente all’altezza: scenografie (Andrew Menzies, Quel Treno per Yuma – 2007), trucco ed effetti speciali ricreano con realismo i palcoscenici della guerra.

Da vedere perché è una riuscita ricostruzione della parte finale della Seconda Guerra Mondiale. A pochi mesi del termine del conflitto, assistiamo ad imprese eroiche di stampo mitologico e la sequenza finale ne è testimonianza. Ricorda la stessa di Leonida e dei suoi 300 (2006) nella difesa delle Termopili.

Voto: 6 e ½

David Siena