Scheda film
Regia: Nanni Moretti
Soggetto: Nanni Moretti, Gaia Manzini, Valia Santella, Chiara Valerio
Sceneggiatura: Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Valia Santella
Fotografia: Arnaldo Catinari
Scenografie: Paola Bizzarri
Montaggio: Clelio Benevento
Italia, 2015 – Drammatico – Durata: 106′
Cast: Margherita Buy, John Turturro, Giulia Lazzarini, Nanni Moretti, Beatrice Mancini, Stefano Abbati, Enrico Ianniello, Anna Bellato, Tony Laudadio, Lorenzo Gioielli, Pietro Ragusa, Tatiana Lepore, Monica Samassa, Vanessa Scalera, Davide Iacopini, Rossana Mortara, Antonio Zavatteri, Camilla Semino Favro, Domenico Diele, Renato Scarpa
Uscita: 16 aprile 2015
Distribuzione: 01 Distribution
Nanni Moretti a margine del lutto, in un’opera tra memoria, sogno e set
L’inadeguata insostenibile leggerezza del vivere e dell’amare, dentro la morte, dentro il copione della sopravvivenza, dentro la trama irrisolta e nevrotica del contemporaneo.
Margherita, fai qualcosa di nuovo, rompi uno schema, uno dei tuoi duecento schemi.
Te lo chiede il tuo alter ego, affidabile e dolce, nello sciame di spettatori e testimoni, di sbagli e veggenze, in lunghissima coda per la sala d’essai romana del Capranichetta, assiepati per ripercorrere il miracolo del solito inaffondabile Wim Wenders. Il cielo sopra Margherita aggrovigliata nel caos poco calmo, acquoso, fertile del suo presente. Catapultato nel vuoto a perdere di giorni contesi da scenografie ad alto budget e capezzali tiepidi.
Vai dietro la scrivania materna, Margherita, odora i vecchi libri e svuota o riempi quelle scatole. Sorridi alle tue “te”, passate e future, tutte in fila per rivelazioni impossibili, in mezzo ai dettagli futili del cammino, tra allagamenti e motorini usati. Guarda l’altro Margherita e “vedrai”.
Margherita (magistrale e asciutta Margherita Buy, dichiarato alter ego morettiano) è una regista solida e insieme irrisolta, istericamente collerica e fragile, ma combattiva, e sta girando un film ambientato in una fabbrica occupata dagli operai che protestano contro il licenziamento. Ha appena lasciato il suo compagno, un attore del cast, deve istruire una guest star apparentemente psicolabile (esilarante John Turturro) e si prende cura della madre Giulia (minuziosa seppur essenziale la veterana Giulia Lazzarini), ex insegnante di latino molto amata dai suoi studenti, da tempo ricoverata in ospedale per complicazioni del suo stato di salute. Beatrice, figlia di Margherita, ha difficoltà con il latino e vorrebbe lasciare il liceo. Giovanni (il più misurato Nanni Moretti di sempre), suo fratello, ingegnere pacato e abituato a compensare l’egocentrismo sommario e ansiogeno e le paure poco pragmatiche della sorella, vuole mollare il lavoro e intuisce per primo l’irrimediabile china su cui scivola il cuore malato di mamma Giulia.
Ciclico non rimandabile confronto con il proprio Sé, forse il primo. Mentre Giulia, perspicace tenera “madre” si spegne, lasciando in eredità, ad ogni respiro, frammenti di verità al di là delle memorie quotidiane. Mentre la colonna familiare, mai posta in discussione, crolla lenta. Il rumore sordo della caduta avvolge il tran tran congestionato di Margherita, che salta terrorizzata e insicura sui troppi set della propria esistenza. Imparando a riflettere e ad amare più libera, forse.
Chi ci insegna a offrirci e a soffrire con il giusto distacco? Chi ha detto che un regista conosca il mondo, che abbia il polso del suo “tempo”? Che riconosca i suoi “schemi” e che abbia la forza e la capacità di interpretare la vita come la società che la ospita? E se poi ce lo dicesse lui/lei stessa, che il regista in fondo “è uno stronzo”? Per lavarsi le mani o per darci schietto il gusto della relatività del vivere fare arte artifizio cinema? Se ci dicesse che non bisogna dargli/le retta ad ogni piè sospinto o meglio sospeso, ché non ha scienza infusa, ma solo con-fusioni, da strutturare nella propria personale esplosione visiva.
Costato 7 milioni di euro e in sala con 400 copie, coprodotto da Rai Cinema e in lizza per Cannes (a breve la notizia, ma Nanni da Cannes accetta “tutto”), Mia madre, scritto e diretto da Nanni Moretti con una squadra numerosa, non prosegue semplicemente la cronaca familiare intima aperta con La stanza del figlio, né completa il diario/racconto viscerale e autoironico sul fare cinema morettiano iniziato con la su stessa carriera.
Con i suoi vuoti di montaggio e le sue piccole lacune o meglio paludi nella sceneggiatura, con i suoi morbidi trapassi tra sogno, allucinazione e realtà, Moretti è lucidamente se stesso. Narra schematico il magma dell’amore e di altri demoni. Dell’amore per l’unicum artistico e umano che è e diventa ogni volta il Cinema, dal sogno premonitore alla stesura del soggetto, dalla scelta delle musiche alle liti sul set, dalle idiosincrasie con la troupe alle crisi di significato “ciak dopo ciak”. Dell’amore per la propria madre, per il dubbio, e per la nostalgia di un futuro che è scritto dai cambiamenti geneticamente codificati e insieme imprevedibili del corpo e della mente e delle sue volontà. Dei demoni della ragione che sciaborda, vacilla affonda nella sua perenne danza fallace sulle onde di tante tempeste, relazioni interrotte, figli da crescere, genitori da riscoprire, identità da trovare e salvare, espressioni e incubi intraducibili, sintassi da (de)costruire, dolori da comprendere e accettare.
Romanzo di formazione adulta, cinefilo, autocitazionista, Mia madre viaggia nei ricordi di Nanni e vive delle sue debolezze, mette da parte le radici della sofferenza e scompone punti di osservazione e ruoli.
Si mette accanto ai suoi protagonisti, e lascia scorrere il flusso invisibile di emotività che si incontrano, detestano, amano, rimpiangono, salutano. E fa appunto la sua “parte”, in parte. Da parte. Se stesso e alieno, “bimbo bello” e padre, nella propria personale stanza del regista. E del figlio.
Voto: 7 e ½
Sarah Panatta